SENTINELLE

Mostra personale di
Andrea Tudini

a cura di Francesco Tetro
dal 18 maggio al 2 giugno 2013

Con l’esposizione dei suoi ultimi lavori, Andrea Tudini privilegia un filone tematico, riprendendo un percorso che gli fu caro nei suoi esordi, quello del tema animalista. Non si tratta evidentemente di un’adesione storicistica rispetto ad una pittura di genere già consumata in secoli di arte figurativa, quanto piuttosto della scelta dell’evocazione di un animale, un cane in questo caso, attraverso un’attenta, quanto originale, estrazione dei suoi modi di porsi rispetto al suo intorno, uomo, animale o fenomeni naturali, turbativi di un assetto pacificato e prevedibile. Cane vigilante. Ed è proprio per quest’ultima accezione, in cifra trasposta, che Tudini propone una sorta di inquietante verosimiglianza, come se il cane, per la pratica millenaria di frequentazione umana, in qualche modo esprimesse sentimenti-comportamenti umani. Cane quindi come metafora. Pittura espressionista quindi, in cui, come nelle opere su un altro tema indagato, quello dei treni, era sottesa la velocità, l’imprevedibilità dei rapporti, lì in quel non luogo che è la stazione, qui più oggetto di turbamento in assenza perfino del luogo in cui misurarsi, avviandosi l’osservazione verso spazi indefinito-ignoti, mentali. Lì era la velocità a coniugarsi con l’incomunicabilità, specchio di tensioni visive, olfattive, uditive, a far mettere le mani avanti, qui è invece l’attesa guardinga, giusto l’atteggiamento del cane da punta che prelude lo scatto aggressivo, difensivo-offensivo, del predatore non sopito. Le sentinelle di Tudini possono essere osservate come partecipi di un ciclo, di una sequenza, quindi unitariamente, per comprenderne l’evoluzione pensiero-aggressivo, legato ovviamente al tempo di metabolizzazione del passaggio dall’una all’altra citazione inquieta.

Dal punto di vista linguistico la sequenza si bilancia tra pensiero e vita, tra intenzioni formative e potenzialità della materia, tra esistenzialità e forma, tra coscienza e avventura, tra progetto e destino, comunque tesa verso l’utopia della stabilità che è divisa tra referenzialità e astrazione, tra concreto e astratto. Tudini si serve di immagini naturali, di paragoni o similitudini che estrae meticolosamente dalle realtà esterne, poi tende ad esprimere invece in modo più diretto e autonomo il senso dello spazio che non è solo intorno alla sentinella del momento, ma anche dentro e intorno a lui. Per esprimere tutto ciò si avvale di segni costruttivi che tengono conto di memorie, come di artifici (leggi le colature, una sorta di filtro-dilavamento della memoria) che offrono spunti di pluridimensionalità che non è, appunto, una questione solo spaziale. Non si tratta evidentemente di solo segno-immagine, quanto di strutturare il quadro per renderlo funzionale ai vari codici. Come non ricollegarsi al furore spaziale di Kline o all’ansioso mistero di Michaux.

Il quadro di Tudini diventa così un organismo vivente su svariati livelli, in cui vita e forma si identificano, una finestra dell’animo che si affaccia alla realtà fenomenica ma che, proprio per essere quadro, viene proposta anche come realtà autonoma. Ecco allora affiorare le tensioni dell’uomo, in qualche modo nascoste-espresse tra ricordo e presentimento in un’invenzione praticata in funzione emotiva. La gamma è ampia, balenante, eccitata, preludente l’incontro-scontro, che si riferisce anche alla luce-materia, costruita da segni che non spartiscono un ordine, campiture o oggetti-soggetto, ma solcano l’interno dell’immagine, del suo colore. Tudini è sulla stessa linea di Corpora quando l’artista sottolineava di sentire che la sostanza del suo colore, lo sviluppo delle sue linee creavano uno spazio che non era altro che lo spessore della memoria. Ecco allora che anche le forme delle Sentinelle si aprono e si determinano come impronte e dimensioni provenienti da molto lontano. Pensando al colore è evidente che la gamma utilizzata è ridotta al minimo – anche nei Treni prevalevano i grigi-indaco, tagliati da bagliori biancastri – quasi più riferita e/o costruita dalla luce, perfino nascosta=non verosimile, una sorta di brace sotto cenere che ritma lentamente accompagnando la precisazione dei dettagli, costringendo ad un tempo lungo di osservazione che corrisponde allo spazio-tempo del quadro, del suo spessore esistenziale, denso di emozioni. Ecco che la memoria viene narrata ed estratta dalla profondità e i segni-colature o le contaminazioni-sovrapposizioni in trasparenza di oggetti diversi non sono altro che lo specchio di accumulazioni di realtà sopite e lontane che riaffiorano.

Orari di visita: tutti i giorni dalle 16:30 alle 20:30, lunedì chiuso | Ingresso libero